Messaggio dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice per la Quaresima. «Capite quello che ho fatto a voi?» (Gv 3,12)

Messaggio dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice per la Quaresima. «Capite quello che ho fatto a voi?» (Gv 3,12)

«Digiunare significherà non solo la privazione di cibo ma anche di “parole” che feriscono, distruggono e uccidono, calunniano e diffondono il falso, plagiano la mente e il cuore, istigano al male, pianificano le guerre»

Carissime, Carissimi,

Con la Quaresima mi sono sempre sentito raggiunto da quel risoluto benefico richiamo che Gesù, «voltatosi e guardando i discepoli», rivolse a Pietro sulla via verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo: «Ricollocati dietro di me (opiso mou), perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8, 33).

Per Pietro non si trattava solo di una ricollocazione materiale, dietro ai passi di Gesù, ma di percorrere il suo “itinerario interiore” con Gesù, di vivere una relazione personale sul fondamento di un appassionato percorso spirituale. Non per nulla Gesù lo chiamerà «satana» (colui che confonde e depista, il divisore), per fargli prendere coscienza della sua disgregazione, della sua divisione interiore; della logica mondana che lo ‘possiede’, della distanza abissale che lo “separa” dal modo di pensare di Dio.

L’itinerario spirituale della Quaresima mira a rinsaldare e a formare l’uomo interiore a rientrare in sé stessi per conoscersi in profondità e ricentrare la vita sull’inedita logica di Dio e del suo paradossale modo di rivelarsi e di relazionarsi con noi umani. Per questo chiede alle comunità cristiane – lungo quaranta giorni scanditi da digiunopreghiera ed elemosina – di “ri-collocarsi” dietro a Gesù, di carpire i moti del cuore, discernere e verificare ogni azione, riorientare la vita. Perché Cristo venga ad abitare in noi, al posto del nostro ‘ego’.

La Chiesa sapientemente ogni anno ci fissa un itinerario spirituale che mira a nutrire l’uomo interiore, mentre assistiamo ad una progressiva strategia di eliminazione dell’interiorità che non risparmia neanche le nostre comunità cristiane. Non sempre si riscontra in esse una “differenza” rispetto alla logica e agli stili di vita mondana. Noi cristiani non siamo affatto esenti da una eclisse dell’interiorità! C’è una sorta di assuefazione e un annientamento dell’interiorità a favore di una «omologazione dell’intimo» (U. Galimberti). Gesù continua a far risuonare anche oggi il suo invito: «entra nella tua cameretta (tameion, dispensa, sgabuzzino), chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto» (Mt 6,6).

In questo “tempo forte” e impegnativo, la Chiesa ci propone un percorso modulato sulla convocazione delle Scritture per mantenere il passo di Gesù, il «Galileo marginale» (J. P. Meier), confessato nella fede come la Parola stessa di Dio fattasi carne (cfr Gv 1,14), Volto del Dio vivente (cfr 2Cor 4,4; Col 1,15) tre volte santo (cfr Is 6,3), «misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (Gl 2,13; cfr Sal 144,8; cfr Es 34,6). Egli ci ammaestra sulla sua signoria esercitata dalla ‘irrilevanza’ della croce trasfigurata dall’amore in nuovo albero della Vita: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).

Il cammino quaresimale è un itinerario di libertà personale e comunitario. Insieme sulla strada (syn-odos) verso Gerusalemme, sulle orme di Gesù, Maestro e Signore, per giungere interiormente rinnovati a celebrare la Pasqua di risurrezione.

Ma quest’anno il tempo liturgico della Quaresima, segnato da un deciso e radicale cammino di interiorizzazione e di conversione, interseca provvidenzialmente il percorso sinodale che la nostra Chiesa palermitana ha intrapreso in comunione con tutte le Chiese del mondo. E così ne può accelerare il passo e rinvigorire le motivazioni.

Il presupposto che ha ispirato Papa Francesco a indire questo Sinodo, e a voler coinvolgere l’intero popolo di Dio in un percorso sinodale, è il desiderio di ricollocare la Chiesa sempre più lì dove ha la sua origine e la sua fonte. Perché sia sempre più consapevole di quello che Gesù ha fatto e, pertanto, disponibile a viverlo e ad attuarlo anche in questo nostro tempo: «Come ho fatto io così fate anche voi» (Gv 13,15).

Ogni convocazione sinodale presenta i tratti essenziali del cammino quaresimale.

Anche la nostra Chiesa palermitana con questo Sinodo, prima di ogni cosa, vuole recuperare un passo discepolare e un orecchio da iniziati capace di ascolto (cfr Is 50,4).  Vogliamo gustare la gioia di una rinnovata sequela del Signore e rimanere a lungo ai suoi piedi contemplando la Parola (cfr Lc 10,39; Mc 4,33); ascoltare i gemiti dello Spirito che provengono dalle ferite e dalle attese degli uomini e delle donne di questo nostro tempo. Essere attenti persino a quanti si tengono a distanza dalle nostre comunità, le hanno abbandonate o che, addirittura, le avversano.

Desideriamo custodire il dono e il gusto della comunione fraterna, del vicendevole ascolto, della reciproca cura e accoglienza, della misericordia e del “per-dono”. Per questo, come ricordava il Cardinale C. M. Martini, è bene che «anche come comunità, ci riconosciamo peccatori davanti a Dio, incapaci di stare insieme, e ce lo confessiamo a vicenda».

Vogliamo prenderci cura dei prediletti del Signore, dei piccoli, dei poveri e degli “invisibili”, «di coloro che sono psicologicamente smarriti, spiritualmente schiacciati… di coloro che non riescono più a trovare in sé e attorno a sé una forza di liberazione» (P. Stancari), riconoscendo in essi, nel loro gemito, nella loro carne ferita e oltraggiata, i tratti del Crocifisso risorto (cfr Mt 25,31-46). Dare il nostro apporto perché la Chiesa sia sempre più “locanda accogliente” che emana il profumo del Messia Servo, dove ognuno può trovare ospitalità, cura e riposo; casa fraterna, di speranza, vigile sentinella della storia, che annuncia a tutti l’alba della domenica senza tramonto.

Si tratta di impegnarci a recepire fattivamente l’intuizione del concilio Vaticano II di una Chiesa libera da ogni condizionamento, capace di prendere le distanze da ogni forma e centro di potere. E perché questo accada realmente e non rimanga un mero desiderio o una pura illusione, è necessario far nostra, con atteggiamento penitenziale e sincera umiltà, l’istanza di Papa Francesco che la Chiesa sia sobria e povera (cfr Evangelii gaudium, 198), assoggettata unicamente alla «legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2).

Per noi allora l’istanza quaresimale di intensificare la preghiera significherà alimentare “l’uomo interiore”, contemplare quello che il Signore ha fatto per noi, entrare nell’intimo del cuore del Signore, inabissarci nel suo sguardo e assimilare la sua logica che si concentra nella compassione per la sofferenza incontrata nei volti di tanti e abbracciata fino ad esserne segnato fisicamente, fino a sopportare la passione dell’infamia della croce prendendo su di sé il peccato e il travaglio del mondo. Paolo Apostolo ricorda anche a noi: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).

Fare l’elemosina (eleeo, «aver compassione») significherà attivare la carità, scegliere di amare, sempre, di fare il bene, di prendersi cura degli altri. Rinunciare alla devastante logica del profitto, di badare solo a sé stessi, al proprio gruppo, alla propria coalizione o appartenenza territoriale, nazionale (La guerra scoppiata in Ucraina – che con fermezza ripudiamo – è il frutto di tali logiche cha ancora determinano la convivenza dell’unica famiglia umana nella casa comune che è la Terra). Fare l’elemosina significherà prendere parte generosamente al miracolo della condivisione così come ci è stato dato di sperimentare in questi duri anni della pandemia. Far di tutto perché altri siano felici, abbiano una sovrabbondanza di vita, abbiano voce, sia riconosciuta la loro dignità. Far nostra la logica del chicco di grano che Gesù ha fatto sua morendo liberamente e per amore sulla croce: esistere per dare vita ad altri. «Nulla si perde di ciò che è fatto con amore» (A. Hurtado).

Digiunare significherà non solo la privazione di cibo ma anche di “parole” che feriscono, distruggono e uccidono, calunniano e diffondono il falso, plagiano la mente e il cuore, istigano al male, pianificano le guerre. Forti dell’ascolto del Vangelo, nutriti dal silenzio e dalla Parola che esce dalla bocca di Dio, siamo chiamati a “bene-dire”, a proferire «parole che esprimono attenzione, rispetto, comprensione, vicinanza, compassione», come ci ha ricordato domenica scorsa Papa Francesco, citando Dag Hammarskjöld, Segretario Generale delle Nazioni Unite, Nobel per la Pace: «abusare della parola equivale a disprezzare l’essere umano» (Angelus 27.2.2022). Asteniamoci da ogni forma di male e di violenza, verbale e fisica. Confessiamo i nostri peccati e – soprattutto in questo tempo liturgico della Quaresima, dalla liturgia definito «sacramento della nostra conversione» – consegniamo «nel mare della grazia gratuita di Dio» che è il Sacramento della riconciliazione, «tutte le esperienze dolorose e pungenti, che si seppelliscono nella coscienza e che il pensiero e il sentire cercano di evitare, perché ritenute irrecuperabili o insolubili o senza consolazione» (Matta el Meskin).

Non lasciamo nell’oscurità nemmeno un anfratto del nostro cuore. «Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede» (Ef 3,17).

A voi tutti va il mio saluto e il mio amore in Cristo morto e risorto.

2 marzo 2002, Mercoledi delle Ceneri

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